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Le Alte quote del Gran Sasso
Le aree più selvagge e inaccessibili ove si concentra il maggior numero di entità floristiche e faunistiche endemiche o considerate relitti glaciali
Le alte quote del Parco, che si elevano a sfiorare i 3000 metri di altitudine, racchiudono quella parte di natura, tra geologia, geomorfologia, vegetazione, flora e fauna, più rara e peculiare, che maggiormente ricorda i paesaggi alpini e artici. E' qui che troviamo le testimonianze naturali meglio conservate, dove l'ambiente si presenta praticamente integro: siamo nel regno della wilderness.
Il clima è caratterizzato da temperature molto basse, lunga copertura nevosa, venti violenti che spazzano e disidratano, forte irraggiamento solare con una notevole concentrazione di raggi ultravioletti. Le piante delle quote più elevate, organismi costantemente sottoposti alle severe condizioni ambientali, hanno saputo adattarsi grazie a particolari accorgimenti anatomici e fisiologici. Proprio sulle alte quote si concentra il maggior numero di relitti floristici ed endemismi (specie presenti esclusivamente in una ristretta area geografica), che fanno dell'Appennino Centrale, in particolare le montagne del Parco che sono le più alte dell'intera catena, una delle aree europee e mediterranee col maggior numero di entità endemiche.
Nelle alte quote, si concentra la maggior parte degli endemismi floristici e faunistici. Inoltre, sulle quote più elevate si rinvengono molte delle specie a carattere relittuale, i cosiddetti "relitti glaciali", che annoverano non solo piante e insetti, ma anche diverse specie di vertebrati, come nel caso della vipera dell'Orsini, dell'arvicola delle nevi, della rana temporaria e del tritone alpestre. Sulle aree cacuminali si concentra anche un'avifauna ben adattata, tra cui il gracchio alpino e corallino, il sordone, il picchio muraiolo, il fringuello alpino, lo spioncello, la coturnice, presenti con le più consistenti popolazioni peninsulari.
Le entità floristiche sono, in prevalenza, neoendemismi, che si sono differenziate a seguito degli eventi glaciali dell'Era Quaternaria. Infatti, a causa delle glaciazioni, molte specie tipiche dei climi freddi si sono spinte verso sud, attestandosi sulle montagne dell'Appennino Centrale; da est, invece, sono arrivate le piante delle montagne balcaniche e finanche quelle delle steppe eurasiatiche. Con il riscaldamento climatico, queste specie si sono ritirate verso nord, oppure sono rimaste isolate sulle più alte cime, come veri e propri "relitti" su un'isola. Questi piccoli nuclei di individui ormai isolati si sono lentamente differenziati rispetto alle popolazioni principali creando nuove entità.
Sono nate, così, la stella alpina dell'Appennino (Leontopodium nivale), l'androsace di Matilde (Androsace mathildae), l'adonide ricurva (Adonis distorta), il cerastio di Thomas (Cerastium thomasii), la sassifraga del Gran Sasso (Saxifraga ampullacea), la sassifraga italica (Saxifraga italica), il genepì dell'Appennino (Artemisia eriantha), la viola della Majella (Viola magellensis), solo per citare qualche specie del corposo contingente della flora endemica di alta quota. Sulle vette del Parco si sono attestate anche diverse specie artiche e alpine che non si riscontrano su nessun'altra montagna appenninica, come nel caso della carice rigida (Carex firma), potentilla delle Dolomiti (Potentilla nitida), potentilla cespugliosa (Potentilla fruticosa), salice erbaceo (Salix herbacea), salice seghettato (Salix breviserrata) e tante altre ancora; probabilmente, queste specie, fra secoli o millenni, daranno origine a nuovi endemismi.
Anche la fauna delle alte quote è del tutto peculiare: per gli specifici adattamenti, per i caratteri di relittualità e per la componente endemica. In particolare, tra gli insetti molte entità risultano esclusive delle alte vette del Parco, come lo pseudoscorpione (Neobisium fiscelli), oppure gli ortotteri Italopodisma lagrecai, Italopodisma baccettii, Decticus aprutianus, solo per citarne alcuni.
Per quanto riguarda l'avifauna, le alte quote ospitano le specie più rappresentative, come il sordone (Prunella collaris), la passera scopaiola (Prunella modularis), lo spioncello (Anthus spinoletta), il caratteristico picchio muraiolo (Tichodroma muraria) e il fringuello alpino (Montifringilla nivalis) presente con la popolazione più consistente dell'intero Appennino. Vanno, inoltre, segnalate le presenze del gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) e corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), e della coturnice (Alectoris graeca), le cui popolazioni risultano tra le più importanti in ambito europeo.
Tra i mammiferi va rilevata la presenza dell'arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), piccolo roditore presente con una popolazione relittuale interessante sotto l'aspetto sistematico e biogeografico.
L'elemento faunistico di spicco delle alte quote è costituito dal camoscio d'Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata) prescelto anche quale simbolo del Parco. Si tratta di un'entità faunistica endemica dell'Appennino Centrale, da un punto di vista sistematico più vicina al camoscio spagnolo che non a quello alpino. Il camoscio era scomparso dalla catena del Gran Sasso nel lontano 1892, a causa della persecuzione diretta dei "cacciatori di camozze"; dopo cento anni, a partire dal 1992, furono reintrodotti sulla montagna i primi individui provenienti dal Parco Nazionale d'Abruzzo, e, attualmente, sulla catena del Gran Sasso si contano diversi branchi dello splendido ungulato non a torto definito il "camoscio più bello del mondo", per un totale di oltre quattrocento individui.