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Tossicità

La pericolosità del senecio sudafricano è principalmente legata alla presenza di alcaloidi pirrolizidinici (abbreviati in PA), fitocomposti naturali che si differenziano in oltre 350 molecole - di cui circa la metà tossiche - e che possono provocare fenomeni di avvelenamento del bestiame e dell'uomo. Si stima che circa 6.000 specie di piante nel mondo possano contenere tali alcaloidi, che si concentrano principalmente in alcune famiglie di angiosperme: Boraginaceae, Asteraceae e Fabaceae (genere Crotalaria). In natura i PA svolgono un ruolo importante in relazione ai meccanismi di difesa di piante e insetti. I fitofagi evitano le piante ad elevato tenore in PA. Alcuni insetti, invece, se ne cibano e attraverso questi composti tossici si difendono dai loro antagonisti.

Nel Senecio inaequidens i PA sono presenti in tutte le parti della pianta e anche nei semi. Dalla pianta possono facilmente passare ad animali e uomo attraverso varie modalità. Il contenuto di PA negli alimenti e nei mangimi dipende da numerosi fattori, compresi specie e organo della pianta, raccolta, conservazione e procedure di estrazione.
Il problema della presenza negli alimenti e nei mangimi degli alcaloidi pirrolizidinici ha sollevato di recente una forte preoccupazione anche a livello Comunitario, tanto che l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha pubblicato un parere scientifico su questa tematica. Gli esperti scientifici del Gruppo sui Contaminanti nella Catena Alimentare (CONTAM) hanno individuato la presenza negli alimenti e nei mangimi di un certo numero di PA, importanti in quanto potenziali contaminanti e hanno concluso che esiste una possibile preoccupazione sanitaria. Al momento sono noti esclusivamente dati sui PA relativi al miele. Gli esperti hanno confermato che determinati alcaloidi pirrolizidinici possono agire sull'uomo da cancerogeni genotossici (EFSA, 2011). In letteratura sono evidenziati numerosi casi di intossicazione, sia animale che umana, in diverse parti del mondo e fin dai primi del '900 (Dimande et al., 2007; Wiedenfeld, 2011b).

Il bestiame può ingerire il senecio al pascolo o con il fieno fornito nella razione. Gli animali al pascolo tendono a scartare la pianta, a causa del suo gusto amaro, che però scompare con l'affienamento, aumentando il rischio di ingestione del senecio nel fieno. Poiché l'essiccazione non elimina la tossicità del senecio, ingerendo la pianta l'animale accumula la tossina nel proprio organismo. Gli alcaloidi pirrolizidinici vengono assorbiti nel tratto gastrointestinale e agiscono principalmente nel fegato, dove liberano molecole tossiche che si accumulano e danneggiano progressivamente l'organo interessando, a volte, anche il cuore e i polmoni. Non esiste, attualmente, un trattamento per contrastare l'avvelenamento da alcaloidi pirrolizidinici. I sintomi da avvelenamento sono difficilmente identificabili, anche perché, trattandosi generalmente di tossicità cronica, può manifestarsi diversi mesi dopo l'ingestione. Il bestiame avvelenato può presentare sintomi quali inappetenza, perdita di peso, diarrea, problemi neurologici, letargia ecc. Il livello di tossicità del senecio sudafricano per il bestiame può variare in relazione alla specie, all'età, al sesso e allo stato fisiologico e nutrizionale degli animali. I terreni destinati alla produzione di fieno, se invase da Senecio inaequidens, possono rappresentare una via di avvelenamento non trascurabile. La dose letale nei cavalli, gli animali che hanno mostrato maggiore sensibilità, si raggiunge con un'ingestione di circa 300 g al giorno di sostanza secca per un periodo di 50 giorni. Questo valore corrisponde al 3-5% del peso vivo dell'animale. Oltre ai cavalli è segnalata un'alta sensibilità anche per bovini, suini e galline. In generale, invece, ovicaprini, tacchini e ungulati selvatici (cervi) sembrano essere più tolleranti. Le capre e le pecore al pascolo a inizio primavera si nutrono delle rosette fogliari e raramente manifestano problemi. In diversi studi, la resistenza delle pecore all'intossicazione da alcaloidi è attribuita all'attività batterica del rumine, che consentirebbe la degradazione della molecola. Gli animali giovani sono più sensibili degli individui adulti. L'ingestione di elevate quantità di senecio in un breve tempo provoca un'intossicazione più rapida che l'assunzione di quantità inferiori per un tempo più lungo.
L'uomo può essere intossicato dagli alcaloidi del senecio sudafricano per imperizia nella raccolta di specie selvatiche per la produzione di rimedi naturali o per consumo alimentare di piante selvatiche. Tralasciando queste vie dirette d'intossicazione, l'uomo può entrare in contatto con gli alcaloidi pirrolizidinici, mediante il consumo di latte, miele, uova, carne e integratori alimentari di origine vegetale (es. polline), prodotti da animali intossicati. Trattandosi spesso di specie vegetali gradite alle api, tracce di PA possono ritrovarsi anche all'interno del miele. Gli effetti sull'uomo riguardano principalmente il fegato, con occlusione delle vene epatiche, emorragie necrotiche, sviluppo di fibrosi o cirrosi, a seconda che si tratti di tossicità acuta, sub-acuta o cronica. La sensibilità è maggiore nei soggetti più giovani e negli individui di sesso maschile.


(foto di CRFA - Centro Ricerche Floristiche dell'Appennino)
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